PANDEMIE

Come mode fluttuanti, ci sono parole o espressioni che, all’improvviso, irrompono tra noi fino a segnare, in maniera virale, un breve periodo della nostra epoca. Poi, così come sono nate, cadono, per rapida autocombustione o schiacciate da altre, vuote foglie secche, senza lasciare traccia.

Nessuno sa, fino in fondo, perché questo accada ma, all’inizio, sono irresistibili nel tracimare la mente e la lingua della ”gente” che, da quelle parole, si lascia inesorabilmente prendere come se fosse avvolta da una specie di terribile pandemia.

Forse sarà perché, quelle parole ed espressioni, si sono imposte in determinati programmi televisivi particolarmente seguiti dal pubblico ”generalista” in un certa stagione.

Forse sarà perché una canzone di successo, molto orecchiabile, o un personaggio, per esempio, del mondo calcistico, ne ha fatto una sua ”griffe” verbale che poi si è come riverberata tra le persone. Sarà perché un evento, mediaticamente ed emotivamente ”forte”, ha segnato una società (chi non ricorda il termine ”tracimare” legato all’evento dell’esondazione di qualche anno fa in Italia, o il termine ”tsumani”…). Sarà perché la Rete la fa ormai da padrone… certo è che, in tutti questi casi, si assiste ad una trasversale omologazione linguistica che si pone, simultaneamente, come ”impoverimento” e metamorfosi semantica. Cioè, cambiando di significato e tonalità, quella parola o espressione perde forza universalizzandosi. Vecchi e anziani, uomini e donne di mezza età, giovani e ragazzi, bambinaie e bambini (subito dopo la fase della lallazione), classi medie e piccole borghesie, operatori ecologici e badanti, comunitari ed ”extracomunitari’, sovranisti e ”global”, dog sitter e dogs…

Nessuno fuori, tutti ansiosamente dentro questa minestra senza più sapore! Non è più un particolare universo significante di identità (e di differenze) che esprime quel ”verbum”, ma è vezzo, puro tic linguistico, facile chiave di accesso ad una più ampia, informe comunità-social, cascame di più profondi processi di globalizzazione, indolente nostro auto-riconoscimento da parte degli altri, riconoscimento che, così, finisce con l’escludere,  in partenza, qualunque possibile incipiente conflitto. Certo, tutto questo denuncia anche una povertà linguistica e culturale che è l’altra faccia di quella insipienza… Ma quella pandemia funziona soprattutto come una specie di profondo ferro da stiro, una pialla: livella, omologa, appiana ogni sia pur minima differenza e pieghuzza in una poltiglia di melassa verbale e concettuale che si fa indistinto, fluido, (auto-) gratificante universo emozionale e sentimentale. Lo stesso desiderio di riconoscimento che potrebbe generare, anche attraverso il linguaggio, feroci e creativi conflitti interpersonali e intersociali, collassa, ferito a morte, in partenza, in un vuoto segnico ed esistenziale, funzionale a quella logica iperconsumistica globale che non ha bisogno di resistenze o differenze, di linguaggi o gerghi comunicativi, esistenze, di un ”tu” e di un ”io”, ma solo di  quotidiani, pervasivi e invisibili esercizi di acquiescenza al servizio di un ”Unico Codice”… E allora, lo stesso corpo si fa vuoto simulacro di se stesso, che è come dire vuoto desiderio di ”cose”, per diventare puro, replicante ricettacolo di quel ”Codice” che è  matrice e modello di irresistibile consumo, distruttiva, funzionale, ansiosa accettazione di inconsistenti bisogni. Quel corpo-involucro potrà emettere solo consunti echi. Forse griderà, prima dell’ultima afasia… Attraverso un breve esame, allora, tenteremo di mettere a fuoco qualche termine delle nostre quotidiane ”pandemie” linguistiche al fine di registrarne il ”valore”. Ma poi, partendo da quel termine, proveremo ad andare oltre, a scivolare, di soppiatto, alle sue spalle, per cercare di comprenderne, nella penombra e nelle sue velate pieghe, qualche significato sottaciuto e non espresso che, come su bordi, potrebbe fare ancora resistenza e potrebbe ancora sussurrare impercettibili ”differenze”a quell’unico ”Dire”.  Lievi dialoghi con alcune persone sarà la via che seguiremo.