Viale dei Giusti: sentieri del biancospino e degli ulivi

Viale dei Giusti: sentieri del biancospino e degli ulivi

VOLTI DELLA GIUSTIZIA

SERRA PETRULLO ”ANGELUS NOVUS” – RUVO DI PUGLIA

Un ‘’Viale dei Giusti’’, a cura della onlus Fondazione “Angelo Cesareo”, in questi mesi, è stato, collettivamente,  allestito nel paesaggio di Serra Petrullo ‘’Angelus Novus’’, contrada premurgiana di Ruvo di Puglia, a 3 km dalla città,  350 m. circa sul livello del mare. 

Con luci e ombre che lo modellano, terrazzamenti e anse che si fanno radure tematiche e di espressione di giustizia  nelle sue diverse declinazioni, i diversi alberi e piante, con le loro personalità, colori e profumi, si fanno voce, segni  e assonanza con ogni giusto. Tronchi d’albero e coerente arredo paesaggistico, testi itineranti, cartelli su paletti (con  biografie, documenti…), si propongono come supporti, elementi essenziali ed evocativi di narrazione, suggestione e  studio, anche per possibili incontri e laboratori aperti a un più ampio territorio, a scuole e a cittadini. 

Si è deciso di scegliere alcune delle più significative personalità dei giusti che richiamassero, in qualche modo, o  potessero rinviare alla storia del nostro Paese, a partire dalla Seconda Guerra Mondiale.  Tale scelta non ha preteso, perciò, di essere assolutamente esaustiva, ma potrà incrementarsi e arricchirsi sempre  di nuove suggestioni e presenze. 

Molti degli alberi dei giusti sono stati adottati da cittadini, scuole, istituzioni. 

Il testo che segue è come un’anteprima virtuale e ‘’immaginifica’’di un cammino per quel Viale.) 

A Serra Petrullo, contrada premurgiana di Ruvo di Puglia, sede della Fondazione “Angelo Cesareo”, tra un suggestivo orizzonte paesaggistico che, dal Gargano corre al mare passando per città e lande murgiane, da un ‘’Angelus  Novus’’ installato su pietraia, si dipanano due Sentieri, quello del Biancospino e quello degli Ulivi. Sono come due  braccia unite a formare il Viale dei Giusti. Percorrendolo, si incontrano, come riflesse da un prisma, alcuni volti  della giustizia. Ogni volto un giusto, ogni giusto un’esperienza, una rischiosa, differente ricerca di giustizia. E ogni  volto un albero, una pianta mediterranea. 

Quei giusti, quasi sempre, procedono e camminano insieme, come a grappoli. E ci portano verso sempre nuove forme, aspetti della giustizia, perché questa, non concettualizzabile o definibile astrattamente, solo ci appare e scintilla  dai volti dei giusti. E sono questi che ce la svelano e rivelano  in maniera, di volta in volta, inaudita. 

 Nel Sentiero del Biancospino, all’ingresso dal carraro principale, c’è un ulivo con, su una grande lastra di pietra alle  spalle, i versi di Isaia, a parlarci di don Tonino Bello, ‘’sentinella del mattino’’, e a introdurci al Viale. Un ‘’reperto’’,  l’ultimo di un ulivo malandato della C.A.S.A., a dimora ai tempi del vescovo, donato dai ragazzi della Comunità, è lì a darne segno. Subito dopo, nel sentiero dove la terra è più densa e accoglie pietraie, la giustizia, con un suo simbolo  e segno, prende il volto della legalità, di difesa di uno Stato di diritto che si fa custode e tutore di libertà, di garanzia  di sicurezza dei cittadini dalla violenza e dalla paura, dal sopruso e dall’omertà di organizzazioni criminali. Si esprime, quella giustizia, nelle figure dei magistrati Giovanni Falcone con il suo albero di carrubo, di Paolo Borsellino  con il noce (di fronte al primo), di Antonino Caponnetto con l’albero di gelso rosso. Saldi come samurai stanno lì  fermi. Accanto all’albero di Borsellino, quasi per sempre protetta dall’ombra dei suoi rami, il biancospino con una  rosa di Rita Atria, giovane lucciola, ‘’picciridda’’, testimone di giustizia. 

Un alberello di ulivo sembra poi camminare incontro all’uomo, sui sentieri della fede e della profezia: don Ciotti con  i suoi molteplici rami di “Libera”.  

Più avanti, tre giornalisti che, con la loro scrittura, con la loro voce, non hanno avuto paura di farsi denuncia e grido contro le violenze di grandi organizzazioni malavitose: Peppino Impastato con l’albero del diospiro, a cento passi  da una lama, che dissoda con l’aratro dure pietre; Pippo Fava con il cotogno, mentre si avvia, come soffio, a firmare il suo ultimo, incompiuto testo teatrale; il giovane Giancarlo Siani, stretto un fascio di inchieste sottobraccio, che,  con passione civile, sulla sua verde Mehari, corre dai bassifondi ad abbracciare l’albero di amarena. Di fronte a loro  una radura: è quella che chiameremo degli’ ‘’Aratri e del Vento’’, cioè della scrittura che sa scavare solchi profondi  per nuovi semi e germogli, e della parola che, come vento, sa fortemente, contro le ingiustizie, soffiare anche per luoghi oscuri e impervi.

Qui, con la guida di attenti poeti e scrittori, di studiosi della comunicazione e di giornalisti, si promuoveranno  anche momenti di riflessioni e confronti sulle nuove forme e nuovi codici di espressione comunicativa e, in un  orizzonte paesaggistico, con ragazzi e giovani, si promuoveranno soprattutto laboratori di nuova scrittura e ricerca  di linguaggi, laboratori performativi di un giornalismo sperimentale, aperti sempre a un’etica di attenzione per la  verità e per la libertà, per la giustizia, in un’opzione ultima per i ‘’marginali’’, per gli ‘’scarti’’ delle nostre società. In questa radura,  un lentisco rappresenta la giornalista e fotoreporter, inviata del Tg3, Ilaria Alpi, e, poco distante, un fico d’india,  davanti a un muretto a secco, ci parla del cineoperatore Miran Hrovatin, rigoroso sguardo di verità, entrambi uccisi  in un agguato in Somalia, mentre la giornalista lavorava a un’inchiesta su un traffico di armi e rifiuti tossici in cui  coinvolto sarebbe stato il nostro Paese. 

C’è anche un pino: è il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa che sembra un gigante: cammina sui duri e fermi sassi della giustizia e della legalità, e nessuna tempesta lo abbatterà.  

Si trovano, poi, sul lato sinistro del Sentiero del Biancospino, l’imprenditore Libero Grassi, fermo e solitario nella  sua rivolta al “Caro estortore’’, con il suo castagno; il sindacalista e politico Pio La Torre, in mano le tavole della legge  di reato e confisca dei beni alle associazioni mafiose, mentre, alla ricerca di un Mediterraneo di pace, scende verso  il suo albero di prugno; l’operaio-sindacalista Guido Rossa, avvolto dagli anni di piombo, mentre pensieroso siede,  nuovo resistente, presso un albero di nocella grossa. Si incontra, nei pressi di un muretto a secco, un mandorlo. Lo immaginiamo come di roccia e terra: la storia è già mito, mentre ci racconta di Giuseppe Di Vittorio che ancora  combatte contro nuovi mazzieri e antiche ingiustizie. E ancora, a destra del Sentiero del Biancospino, Placido Rizzotto col ‘’suo’’ mandorlo, politico e segretario, a Corleone, della Camera del Lavoro, fiero combattente contro la  mafia padrona, che guida l’occupazione contadina delle terre.  

Qui, con i suoi molteplici volti, è soprattutto dalla società civile, dal mondo dell’imprenditoria e del lavoro, delle  forze politiche e sociali, che l’azione per la giustizia, contro anche forme di violenza ideologica, si fa scelta radicale,  presidio, coraggio personale a esserci, a schierarsi, a prendere radicale posizione, contro qualunque forma di offesa  e violenza all’uomo e al cittadino. 

Ma anche le “belle’’ istituzioni sono rappresentate. Un albero roverella, nel declivio del Viale, si leva a rappresentare  Piersanti Mattarella, presidente della Regione Sicilia che, simbolo di una rinnovata stagione politica, della speranza  di riscatto di un popolo, appare reggersi tenacemente ad un limpido orizzonte di trasparenza e di servizio ai cittadini, mentre, su di lui, soffiano mille venti e folate. E, nei pressi della pietraia dell’angelo, vediamo apparire, tra cielo  e terra, Giorgio La Pira, sindaco che, sullo sfondo di città, muovendo un umile caprifico, fa dialogare tra loro i mille  comuni e popoli della Terra, in nome della pace, delle dignità degli uomini, in difesa degli ultimi.  

Sul lato opposto, solitaria, la limpida e integerrima figura di Giorgio Ambrosoli, un “eroe borghese’’, libero e solo,  avvocato, commissario liquidatore che, con la sua passione per l’onestà e la verità, col suo profondo senso dello Sta to, svela gli intrecci tra mondo bancario e Mafia…Caduto sotto la polvere del tempo, a ricordarcelo ora è un leccio. 

In questo cammino di giustizia, si giunge all’ installazione di pietra dell’Angelus Novus, a firma dell’artista Massimiliano Di Gioia. Questo angelo, che s’ispira liberamente a un famoso testo del filosofo Walter Benjamin, è l’angelo della storia che volge le spalle al futuro e guarda il passato, osservando un sentiero su cui sono disseminate cose  infrante e morti, e al termine del quale si trova il Paradiso, dal quale soffia una tempesta che, gelandogli le ali, gli  rende impossibile ricomporre l’infranto che pur vorrebbe risvegliare. E’ proprio qui accanto che, sotto una quercia  roverella della Murgia, nei pressi di un’impietosa e arida pietraia, sono collocati altri giusti. Un grappolo di altri  volti di giustizia. Sono ragazzi, giovani che, in un attimo di un’altra storia, hanno volto le spalle al futuro, bruciando 

innocentemente la loro vita per l’altro, facendosi, in un luogo e in un tempo senza paradiso, gesto e pienezza di senso. Troviamo qui il volto puro di Vito Guarini che suona ancora in una composizione di melograni, quello dolce di  Rossella Casini innamorata del ‘’suo’’ roseto e della giustizia, il volto teso e indignato di Willy Monteiro che sostiene  e porta soccorso alla pianta del prunus pissardi. Dalla quercia, come in un volo in caduta, tanti altri angeli-ragazzi  in forma di leggeri legnetti.  

Si passa, quindi, dal Sentiero del Biancospino a quello degli Ulivi la cui curva, muovendosi come la sinuosità dell’ac qua, ci porta, come una specie di ampia ansa, verso l’alto, in direzione della installazione della Porta del Silenzio, e  ci apre lo sguardo al casale ottocentesco di Serra Petrullo. 

Si trova, in questa ansa, la radura delle donne, che chiameremo delle ‘’Mimose e delle Rose’’, ansa, tornante di un’altra giustizia, di un altro orizzonte storico e umano. E’ questa la radura di quelle donne che hanno deciso, con un  atto, con una scelta, con un diverso ruolo, con un’ideale e una passione, di sovvertire il ‘’destino’’ che le voleva sog gette e condannate all’altrui storia, per farsi, invece, soggetto di una diversa storia. Franca Viola che, del matrimonio  riparatore, ‘’fece il gran rifiuto’’; Lea Garofalo, testimone di giustizia e di coraggio civile, dal boss, ex compagno,violata nella sua vita; la ‘’pulzella’’ Emanuela Loi, tra le prime donne poliziotto adibite al servizio scorte, uccisa nella  strage di via d’Amelio; Renata Fonte che, sola contro tutti, fece corpo al saccheggio speculativo- ambientale del parco della sua terra, al suo Porto Selvaggio. A raccontarle, piante floreali, dall’albero delle mimose all’ agapanthus alla  salvia rifiorente, alla glaudia, dal gelsomino giallo al rincospermo alle rose… Qui la giustizia si fa scelta, personale  ‘’destinazione’’ verso un proprio ‘’destino’’. Un vaso rotto, una ‘’capasedda’’, le rappresenta e ne è il loro segno. Sopra,  sono scritti alcuni versi di Emily Dickinson: ‘’Portami il tramonto in una tazza/conta le anfore del mattino/ le gocce  di rugiada./ Dimmi fin dove arriva il mattino/ quando dorme colui che tesse d’azzurro gli spazi…’’ 

Sul lato opposto dell’ansa, due fedeli ‘’servitori dello stato’’ che, nel compimento del loro dovere, hanno trovato la  morte: Antonio Lorusso come aggrappato a due tralci di vite, Nicola Calipari accompagnato da un umile e forte  alberello di pero. E’ la giustizia come fedeltà, servizio ed estremo senso morale del dovere. Si trova, in questo luogo, anche un’acacia robinia che ci ricorda, con Massimo D’Antona, quanto difficile sia, nei  tornanti dolorosi della storia, cercare la giustizia che, anche nel lavoro, sempre dovrà misurarsi con il cittadino, farsi  eco della persona. 

Alle spalle, l’alberello del nasci che ci parla di Aldo Moro e dei suoi 55 giorni: giusto perché, in lui, la politica (e la  storia) si svela dolorosa radice umana. 

Salendo, sul lato destro incontriamo la radura che chiameremo dell’ ‘’Arca e degli Ulivi’’, la radura dei giusti della  Pace e della Nonviolenza. In questo luogo, immaginiamo i giusti procedere ‘’armati’’ della sola parola e presenza ,  inascoltati, mentre si fanno voce e annuncio attivo di un’altra società. Aldo Capitini, filosofo, antifascista, apostolo  laico e scomodo testimone del suo tempo, il ‘’Gandhi italiano’’, in marcia da Peugia verso Assisi; Danilo Dolci, poeta  e pedagogo che, con i contadini siciliani, scende disarmato, negli scantinati infiniti della povertà e dell’indigenza,  nel sottobosco storico di profonde arretratezze sociali e culturali, a lottare, con percorsi di democrazia di base e  nonviolenta, contro l’analfabetismo e la disoccupazione,contro il sistema clientelare-mafioso, per una completa  emancipazione degli ‘’sfruttati’’ e dei ‘’sottomessi’’; Domenico Sereno Regis, ‘’lottatore senza violenza’’, ‘’disturbatore  del quieto vivere’’; Alexander Langer che ci parla di nonviolenza, di nuovo patto tra l’uomo e l’ambiente- natura;  Alberto L’Abate che danza, tra sentieri, su passi di giustizia. Cinque ulivi ne segnano la loro presenza, un sesto, con i  suoi molteplici rami, ci parla delle Organizzazioni Non Governative in cammino sulle infinite tracce degli invisibili  e degli smarriti. Quasi al centro, un grande melograno floreale ci canta i versi di Fabrizio De Andrè, ‘’Amico Faber’’  delle tante ‘’Marinelle’’ e delle ‘’Guerre di Piero’’, di fragili tulipani e papaveri. Ai piedi dell’ulivo di Alberto L’Abate,  un arboreo glicine con rose gialle ci narra di Lidia Menapace, partigiana, militante di pace, promotrice del riscatto  delle donne, e, più avanti, osserviamo una videosinfonia floreale di Franco Piavoli che ci incanta sul pianeta azzurro,  sulle voci nel tempo, ci sussurra il primo soffio di vento. Un azzeruolo, conTiziano Terzani, ci osserva, instancabile viaggiatore dell’esistenza, da tempi e luoghi lontani, mentre, sul muretto a secco della radura, un mandorlo ci apre  alle quinte paesaggistiche del teatro di Eduardo De Filippo che, alla quotidiana (in-)giustizia, ha dato una voce,  un volto, sostando in ascolto presso vicoli e rioni. Un altro mandorlo risuona battendo al vento un ritmo leggero  di note. Al chiaro di luna, fiori e boccioli lottano verso l’alto contro la gravità, respirando dolorosamente, affannosamente, con Ezio Bosso. Sul ciglio esterno della radura dell’ ‘’Arca e degli Ulivi’’, poi, grappoli di mirto ci fanno  intravedere la figura di Jerry Maslo, sudafricano immigrato nel nostro Paese che, già in rivolta e vittima dello sfruttamento e della violenza, ancora combatte tra grappoli di bacche e fiori per dare un volto a chi un volto non ha…  Accanto a Jerry, piante di nandine all’ ‘’amico fragile e silenzioso’’, Cosimo Antonio Stano… La pace e la non violenza  si incamminano, incardinandosi in questa radura pietrosa, verso i fragili, gli esclusi, verso le vittime della Storia e  del Potere, i succubi della cieca violenza e dell’arbitrio, della prepotenza e della ferocia senza volto, si addentrano  finanche nelle radici profonde della natura-ambiente, vittima, anche questa, di ben altra, insensata violenza umana.  Qui la giustizia è prospettiva e profezia di un nuovo patto, di una nuova arca di alleanza …  

Tale radura, non potrà non proporsi, perciò, che come costruttiva arca di laboratori sulla pace, sulle convivialità  con i ‘’periferici’’ e con i nostri ‘’bassifondi’’, anche come possibile arca/o, sulla via di un ardito e pericoloso allestimento, tra le nostre consumate esistenze, storiche e quotidiane, e il paesaggio, l’ambiente, la natura…… 

E’ a partire soprattutto da questa radura che l’aria di Serra Petrullo sembra farsi, però, sempre più rarefatta, vuole,  con noi, respirare e parlare con venti più leggeri e freschi… 

In questa leggera salita, ci accompagnerà, in sella alla sua verde bicicletta, Gino Bartali, mentre, in silenzio, tra una  robusta pedalata e l’altra, ci consegna un documento per la vita. Con lui un albero di brachychiton, albero-fiamma. Sulla destra, un po’ più avanti, un nespolo invernale ci ricorda Giorgio Perlasca, ‘’giusto tra le nazioni’’, giusto per il  coraggio e l’audacia di aver salvato migliaia di perseguitati ebrei.  

E più sopra, ecco, con nuvole già lontane all’orizzonte, un eucalipto profumato. E’ l’albero di Mauro Rostagno, dell’u topia, di ‘’Macondo’’, di ‘’Saman’’… Lotta ‘’contro il vento’’. 

Più sopra, un grande corbezzolo ci parla di Adriano Olivetti, che, al servizio della comunità, ha provato a disegnare  nuovi ponti tra impresa e lavoro, paesaggio e bellezza. Un ponteggio per un ponte in allestimento ne segna la radura:  quella delle ‘’U- topie e delle Rondini’’ che, dalla presente stagione, altrove potranno, un giorno, migrare.  

Quasi di fronte, un’altra radura, quella dei ‘’Pozzi di Geremia’’, dei giusti della fede come pietre d’inciampo, cacciata  dei mercanti dal tempio. Pozzi di pericoli, quei pozzi di Geremia, in cui quelle pietre potranno sempre cadere, essere  fatte precipitare, potranno rischiosamente esporsi a una costante, radicale offesa… Qui, un altro grappolo di giusti,  con radici faticose, si muovono al soffio della tramontana: don Andrea Gallo, un prete che, per gli ultimi, ‘’si era  scoperto uomo’’, insieme al suo partigiano platano acerifolio; don Peppe Diana, attivista, scout, insegnante, segnato,  nel suo civile impegno di fede,da un acero rosso; don Pino Puglisi caduto, nel suo 56°compleanno, sotto una rossa  quercia, sui viottoli di un impegno evangelico e sociale.  

E, proseguendo verso la Porta del Silenzio, ecco venirci incontro altri due alberi. L’albero di Angelo Vassallo, sindaco pescatore che, ciliegio rosso in resta, come un innamorato cavaliere d’altri tempi, a spada tratta, difende la  bellezza del suo paesaggio del Cilento: qui egli pone la nuova legge. 

L’ albero di alloro profumato di un ‘’giudice ragazzino’’, Rosario Livatino, ‘’dal volto di Gesù bambino’’ che, solo e  puro, ai suoi aguzzini, chiede ‘’Picciotti, ma che vi ho fatto?’’  

Saliamo un altro po’, seguendo il Sentiero degli Ulivi… 

Ora, però, il passo deve farsi più lento, quasi procedere, morbidamente, a rallentatore. Ci avviamo alla radura della  ‘’Lumaca e del Filo d’erba’’. Sono maestri quelli che ci accolgono, e, con discrezione, ci avviciniamo a loro, mentre,  gesticolando leggermente e con lentezza, stanno facendo lezione. Nugoli di bambini e ragazzini scalzi, pulcini neri dietro a chiocce, si agitano, osservano e ascoltano, tra muretti a secco e alberi. Vicino al melo, don Milani, accarezzando un filo d’erba che lo guarda, insegna loro che l’obbedienza non è più una virtù’’, e con loro prova a riscrivere  una nuova grammatica, a offrire loro la parola, un cammino. Dietro al melo, l’antico albero di fico. Gli è vicino Gianfranco Zavalloni che, muovendosi lentamente su una lumaca, ci legge, tra questo fico e il trullo del maestro Gianni  Rodari, le nuove tavole dei diritti naturali dei bambini e delle bambine. Con orti di pace e di convivialità di culture,  gruppi di ragazzini creano, giocano, tessono, nella bellezza del paesaggio, poesie e canti. Anche Alberto Manzi,  maestro, è lì, col suo albero di sorbo, per insegnarci, ancora una volta, che ‘’non è mai troppo tardi’’ per imparare a  leggere, per conoscere tutto il resto dell’umanità. E, dolcezza di una chioccia, avvolgendoli col bianco profumo di  un sambuco, Nadia De Munari protegge e sogna con i sogni dei bambini. 

Una rosa canina su muretto è lo sguardo di Maria Montessori: ci conduce alla bellezza del filo d’erba, del bambino,  delle sue emozioni. 

Più in là, in solitudine, piccoli, invisibili, fili d’erba piegati dalla storia… Un mandorlo, con il medico pediatra Mi chele Cicchelli, e altri operatori sanitari, tra pietre e cielo, si fa dono, in questo lungo inverno, di altre fioriture.  Oltre i confini e le frontiere, senza fisse radici, corrono, con Gino Strada ed ‘’Emergency’’, more nere di un platano:  sciamano verso altri spezzati, flagellati fili d’erba, incontro a venti impetuosi… Un profumo di tiglio, poi, ci parla di  Giuseppe Ambrosoli: lontano, si libera e si lascia avvolgere dal profumo della giustizia. In missione per remoti altri  minuscoli fili d’erba… 

Ma qui l’aria del nostro sentiero, mentre ancora si intravede l’installazione dell’Angelus Novus in piedi per l’eter nità di fronte a sogni infranti e a velate speranze, si è fatta ancora più rarefatta e fresca. Un fuoco sembra accendersi  più in là, in un luogo marginale, fuori dal viale, fuori forse dal tempo e dalla storia, dove un decorticato e contorto,  fragile albero di sughero è stato lì messo a dimora da poco. Ai suoi piedi, piante di buddleja: dolci fiori di farfalle di  una poetessa, l’immagine di una tigre che ruggisce. Franco Basaglia in quell’albero sembra svelarsi e gridare l’ultima  giustizia: è l’ora di liberare le farfalle verso la follia! 

Fondazione “Angelo Cesareo’’