Silenzio in religione e filosofia
Una distinzione fondamentale sul silenzio si ha quando si parla di silenzio come assenza di parola e silenzio come comunicazione. L.Heilmann distingue il “tacere” e il “silère” in latino, sostenendo che la differenza che caratterizza sileo e taceo l’uno di fronte all’altro, sia da vedere nell’opposizione tra la coscienza del silenzio come realtà in atto o che si crea (sileo=positivo) e la constatazione del silenzio cioè assenza di qualcosa che da esso è negata (taceo=negativo).
Quindi tacere è rimanere muti di fronte a qualcosa, mentre silere è entrare in comunicazione con la divinità.
Alcune flosofe hanno posto il silenzio come un’arte a sé, un’arte da apprendere. In molte discipline è presente la pratica della meditazione silenziosa. Quel silenzio, però, non è fne a sé stesso, ma atto a sviluppare e portare una sola idea fno all’estremo. Il flosofo Heidegger ha sottolineato più volte come il tacere non sia semplicemente assenza di parola, ma un atto volto ad una maggiore comprensione tra gli esseri umani. Egli pone il tacere come qualcosa pregno di un rispetto molto più alto delle parole. “Un fume di parole su un argomento non fa che oscurare l’oggetto da comprendere, dando ad esso la chiarezza apparente dell’artifciosità e
della banalizzazione”. Heidegger invita a riflettere sul silenzio e sulla sfera esistenziale dell’uomo. Il silenzio diventa dunque una possibilità di avere qualcosa da esprimere, ma scegliere di non farlo. Una decisione cosciente per attribuire un giusto e autentico valore alle parole a volte superficiali e inautentiche.
Il silenzio, così percepito, non è vuoto, ma una pienezza, perché apre l’uomo all’incontro: “Il silenzio è esperienza della libertà perché apre lo spazio dell’incontro. prepararsi al silenzio non è ascetismo, ma affidamento e pratica di ospitalità nel duplice senso relazionale del termine. E essere ospitati dal silenzio e, nel contempo, ospitarlo in noi. E ospitare l’alterità, fare spazio alle voci, al senso, a chi ci si fa prossimo” (Roberto Mancini, docente di Ermeneutica Filosofca). Il silenzio non è, quindi, una totale chiusura alla parola, alla comunità, alla relazione, ma anzi ne è il sostegno. L’esperienza contemplativa insegna la disciplina del silenzio come esclusione di ogni essere rumoroso e di ogni parola inutile che ne violerebbe la sacralità. Il vero saggio si esprime in poche parole, e nello stesso tempo la sua parola è silenzio. Le sue parole scaturiscono da una profonda meditazione.
La stessa cosa vale per la preghiera, attraverso la quale, in silenzio, si costruisce l’incontro con l’assoluto, ovvero Dio. Secondo l’insegnamento di Buddha il silenzio non è altro che “essere come si è”. il silenzio è la manifestazione totale della nostra intera personalità. La nostra personalità individuale si manifesta insieme all’intero universo. Meditare significa ascoltare il silenzio della mente. Vivendo questa esperienza si recupera il vero significato della parola che mira condividere il bisogno di Verità attraverso la comunicazione. Tutto il resto diventa un’espressione inutile e priva di profondità.
L’essere umano dovrebbe assumere un atteggiamento corretto attraverso la fruizione del silenzio in sé stesso. Utilizzando la mente solo come strumento di ricezione sonora, in quanto l’intelletto si mostra arrogante avendo la presunzione di sentenziare su tutto e ponendo la logica come unica essenza di realtà. L’io contaminato dalla razionalità crea un ostacolo alla visione della verità impedendo di smascherare le apparenze. In qualsiasi contesto sociale la realtà nasce da un gioco di mâyâ, che vela la verità. Il silenzio squarcia il velo di mâyâ cessando la prigionia in cui le apparenze chiudono l’umanità. Assume un ruolo di liberazione dalla mondanità, da ogni seduzione volta ad intrappolare nel sentimento della speranza e ad un positivo cambiamento.
Nel silenzio non esiste un domani, si vive nel qui ed ora, un eterno presente che non vuole relazionarsi a nulla. Il silenzio annulla l’angoscia della perdita, frutto della vita che si rinnova, perchè non vi è mutamento e per questo non vi è concetto di guadagno o perdita. Tutto diventa uno spazio sospeso in cui prende forma solo una compiutezza del vuoto. Il Buddha, seduto sotto l’albero della Bodhi, è simbolo della trasmissione di una Verità rivelata dal silenzio della meditazione. Il mistico e l’artista hanno in comune un’avversione per il linguaggio razionale, entrambi i loro mondi non possono essere rappresentati logicamente. La loro modalità espressiva va oltre l’intelletto ed il significato supera la barriera di un discorso sensato. Il compositore Gustav Mahler a proposito del VI movimento della Terza Sinfonia scrisse: “E come la sommità, come il più alto livello dal quale si può ammirare il mondo. Avrei potuto intitolarlo «Ciò che Dio mi dice», nel senso che Dio può essere compreso solo come amore.”
Fra le arti, la musica è ciò che si avvicina di più al concetto mistico, in quanto le parole sono sostituite dai suoni. Nell’induismo la condizione di silenzio è cercata attraverso il suono sacro dell’Om, simbolo di una vibrazione primordiale. Così anche nel Suf, dove il suono Hu contratto nella sillaba Ham è l’inizio e la fne di tutti i suoni, chiamato Ism-e Azam, il nome di Dio. Nei testi del Mahâyâna troviamo l’idea di completa interdipendenza tra Vacuità e fenomeni.
Il suono fltra tra gli spazi del silenzio, costituito dalle pause che permettono alla composizione di scorrere, essa infatti non può nascere senza spazi vuoti tra le note, il silenzio dona alla musica ritmo ed armonia. Il mondo si crea con lo stesso principio, come un’opera d’arte, esso è creazione della mente e delle sue pause. Michelangelo contemplando il blocco di marmo dal quale avrebbe tratto la sua statua di Mosè, esclamò: “E già qui: debbo soltanto liberarlo dalla materia.” L’artista crea un universo molto più vicino alla Verità, realtà che solitamente viene attribuita all’esperienza comune, invece inesistente senza l’attività mentale.
La realtà oggettiva è una visione derivata dall’ignoranza. L’uomo fotografa la realtà che in verità è un’illusione derivante dall’ignoranza. Egli pensa che il mondo così come appare, un’immagine elaborata dai sensi e dall’intelletto, sia già ordinato da leggi universali che ne assicurino l’esistenza oggettiva. Nella cultura occidentale paragonare la realtà ad un sogno è un atteggiamento volto all’ironia che produce totale dissenso, dubitare dell’esistenza fisica dell’universo farebbe crollare tutte la basi sulla quale essa è costruita.
Nâgârjuna distingue la verità relativa (samvriti) e la verità assoluta (paramârtha). La verità relativa si basa sull’ordine fenomenico, sul rapporto tra le apparenze. Mentre la verità assoluta è «il silenzio dei santi». I versi di Nâgârjuna recitano: “il Buddha non pronunciò una sola sillaba» in quanto il suo insegnamento più profondo venne trasmesso senza parole.”
Anche nello sciamanesimo il silenzio assume un ruolo fondamentale. Gli sciamani di tutto il mondo per portare guarigione, conoscenza e saggezza hanno elaborato varie pratiche per giungere al silenzio. Lo scrittore Carlos Castaneda ha illustrato nei suoi libri come gli sciamani dell’Antico Messico entravano nel silenzio interiore attraverso dei movimenti e respirazioni, passi sognati da vecchi veggenti in tempi remoti. Attraverso il silenzio interiore è possibile sconfggere la mente dell’io che con il suo rumore copre tutte le percezioni disponibili all’uomo.
Gli sciamani hanno sviluppato moltissime tecniche atte al raggiungimento del silenzio che può durare da qualche secondo ad interi minuti. Superata una certa soglia si sarà poi in grado di raggiungere il silenzio in modo spontaneo. Un potente strumento utilizzato a tale scopo è il tamburo. Il battito monotono e continuo permette al cervello di rallentare la sua attività. I pensieri, quindi il rumore della mente, si dissolvono fino a lasciare spazio alla conoscenza non verbale. Da qui si affronta un passaggio graduale fino ad arrivare al silenzio, il tamburo aiuta a tornare sempre al silenzio, anche quando il rumore della mente si ripresenta. Un antico linguaggio dei popoli autoctoni da alla Natura il nome di Shan, una natura non solo intesa come ciclo stagionale, ma che comprende l’esistenza, anche con la presenza umana. Secondo la filosofa dei popoli naturali, la dimensione dello Shan è accessibile attraverso l’esperienza del silenzio, dimensione in cui la Natura si rivela. Esso rappresenta il reale punto di contatto con la Natura e permette di partecipare alla sua armonia ed accedere alla sua conoscenza.
Il silenzio è la percezione mistica dello Shan, esperienza che solitamente non viene vissuta a causa delle apparenze in cui di cui si è attratti e coinvolti. Il rapporto con lo Shan è basato su le competenze del corpo, della mente e dello spirito. L’individuo pone erroneamente il suo stato di coscienza nella percezione materiale dei sensi e nella mente. Essa formula solo interpretazioni soggettive, mentre la coscienza appartiene allo stato immateriale dello spirito.
Quando ci si libera dell’illusione sensoriale e della soggettività della mente, si può entrare nella conoscenza dello Shan, attraverso questa liberazione dello spirito esso può entrare in comunicazione con l’esperienza del silenzio, recuperando la sua vera natura, manifestandosi come visione. Nella religione islamica parlare troppo è considerata una via che conduce al male. L’islam invita il mussulmano a parlare per dire solo il bene e di mantenere il silenzio.
Un’eccesso alla parola è considerato un avvicinamento al diavolo (shaytan) che penetra più facilmente nelle persone incitandoli alla menzogna fino a portarli ad una debolezza che li allontana da Dio. Nella maggior parte delle religioni occidentali la preghiera è una forma di silenzio. Un silenzio anch’esso non passivo, ma che pone la propria coscienza a contatto con Dio. Ogni luogo sacro è manifestato e regna col silenzio, esso vissuto all’esterno diventa un simbolo di rispetto e di contemplazione, il riconoscimento stesso della sacralità dei luoghi.
Secondo gli antichi anche i moti di rivoluzione dei pianeti diventano armonie musicali non udibili. La musica delle sfere considera l’universo insieme di proporzioni numeriche. Dai movimenti planetari sarebbe nata una musica non udibile all’orecchio umano, la musica universale.
Il primo ad udire la sinfonia planetaria fu Pitagora, equiparando i suoni delle sfere celesti a quelli di un martello sull’incudine, ha poi determinato, attraverso rapporti numerici, delle consonanze musicali. I numeri hanno sottratto il mondo dal chaos e lo hanno reso un cosmos, un Tutto armoniosamente ordinato, regolato da una norma costante, perenne e definita.
Pitagora sostiene che Sole, Luna e pianeti producano un suono continuo a causa della loro rotazione, e di conseguenza la vita sulla terra sia influenzata da questi suoni impercettibili.
L’Universo è composto da ritmi, numeri e proporzioni in cui sette corpi conosciuti (Sole, Luna e i cinque pianeti visibili) possono essere messi in corrispondenza con le sette note naturali. Per i greci il cosmo ha una scala musicale, il sole corrisponde alla nota centrale ed è quella che da armonia congiungendo le scale armoniche, mentre Saturno e le stelle fisse corrispondono alle note acute. Secondo un’interpretazione medievale Dio avrebbe creato l’universo attenendosi all’aritmetica, alla geometria e alla musica, il passo biblico dedicato all’armonia cosmica recita “i cieli cantano la gloria di Dio”. Nella Cattedrale di Anagni è raffigurata la composizione armonica dei quattro elementi, in cui terra e fuoco sono sempre contrapposti, mentre gli altri due elementi sempre connessi con gli altri tre.
Giovanni Keplero scrisse Harmonices Mundi, un libro in cui descrive le corrispondenze tra percezioni ottiche, forme geometriche, musica e armonie planetarie.
Egli trasforma le orbite planetarie in ellissi e attribuisce ad ogni pianeta un suono ed una variazione di intervalli secondo cui la nota più grave corrisponde alla velocità di rotazione minima, mentre la più acuta ad una velocità massima. I suoi pentagrammi rappresentano la struttura armonica del cosmo: l’ampiezza degli intervalli è direttamente proporzionale all’eccentricità dei pianeti. L’armonia delle sfere, musica non udibile ma esistente, diviene così principio unificatore della realtà.
Aristotele, nonostante la sua negazione nei confronti della teoria sulla musica delle sfere, disse: “se esistesse un suono prodotto dalla rotazione degli astri, sarebbe talmente forte e intenso da distruggere la vita sulla Terra, cosa che non è”. Spiegò invece perché l’uomo non può udire la celeste armonia: egli sostiene che qualsiasi elemento è percepibile solo nella conoscenza del suo contrario, quindi un suono non viene percepito se non in contrasto con il suo opposto, l’assenza di suono. La rotazione planetaria è un suono presente nell’uomo fn dalla nascita, per questo non è possibile da riconoscere, non è mai stato percepito il suo contrario.
Lo scopo dei silenzi non è porci in stati di passività e vuoto, ma è un fattore primario per la concentrazione e la canalizzazione del nostro pensiero. Il silenzio diventa canale primario della connessione tra mente corpo e spirito, facendoli animare e fuire con lo stesso ritmo.